NELLA NOTTE DEI TEMPI
L’area di Monterufoli è da sempre conosciuta per la notevole presenza di giacimenti minerari, in particolare calcedonie che erano estratte quasi totalmente per l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze fin dal XIV secolo.
A metà del XIX secolo furono eseguite le prime esplorazioni minerarie nella zona a sud-ovest di Volterra, dove emerse la possibilità di trovarvi grandi riserve di lignite, di cui la Rivoluzione Industriale stava divenendo vorace consumatrice.
Nel 1846 la famiglia Maffei di Volterra, proprietaria della Tenuta di Monterufoli, riscontrando in essa calcedoni e ligniti decise di far eseguire esplorazioni minerarie nella loro Tenuta. I risultati furono incoraggianti per cui stipularono un contratto con l’imprenditore livornese Enrico Coioli per il diritto di escavare e far suoi tutti i minerali che esistevano in superficie e nelle viscere della terra; Coioli localizzò un imponente giacimento di lignite di elevata qualità: un decennio dopo la miniera aveva già ottenuto un rilievo eccezionale fra i giacimenti di combustibili fossili della Toscana.
Nel 1854 iniziarono i lavori nella parte di Libbiano con 4 operai: Giuseppe Castelli, Domenico Belli, Brizzolo Berni, Domenico Barsotti. Durante le ricerche il Coioli fu contattato dalla società Anglo Toscana che acquistò i diritti di escavazione per la zona di Libbiano, in modo particolare per la più antica miniera del Castagno, già attiva nel 1850. I lavori di escavazione si prolungano fino al 1865 raggiungendo la massima intensità. I minerali escavati erano vene di calcopirite e erubescite.
Tra i lavori più importanti sono segnalati una galleria di scolo lunga 900 metri, la cui fuoriuscita è ancora visibile dal torrente Trossa, e altri lavori all’Aia al Cerro. Tra le tante miniere nella tenuta Maffei, quella del Caggio è stata la più importante: c’erano uffici e magazzini oggi diroccati.
Ben presto, tuttavia, ci si rese conto che la ricca miniera di Monterufoli non riusciva a esprimere il suo pieno potenziale anche a causa dell’isolamento dell’area, lontana dalle più importanti vie di comunicazione toscane.
Nel 1869 la Società Carbonifera di Monterufoli si sostituì a Coioli nella gestione dell’attività mineraria della zona; intuite le enormi potenzialità del giacimento, la Società si affrettò ad avviare i lavori di costruzione della ferrovia per risolvere le difficoltà legate al trasporto del materiale estratto che ne conseguivano (1870). La linea ferroviaria aveva scartamento normale e partiva dalla stazione di Casino di Terra, sulla tratta Cecina – Saline di Volterra, fino alla miniera; i lavori furono terminati due anni dopo con l’apertura all’esercizio (25 aprile 1872).
COM’ERA LA NUOVA LINEA FERROVIARIA?
Questa nuova linea ferroviaria dedicata che trasportava solo gli operai delle miniere e il materiale estratto, permise di movimentare più rapidamente la lignite verso Livorno; era lunga 17 km, armata con rotaie da 27 kg; presentava una livelletta costante e comprendeva molte opere d’arte ancora presenti. L’esercizio era svolto con una locomotiva a vapore di bassa potenza ma comunque in grado di trainare 26 vagoncini, dato che saliva alla miniera a vuoto e scendeva con il treno carico. Il tragitto da Monterufoli a Casino di Terra (o vicecersa) era compiuto in 1 ora e 15 minuti.
Ci preme ricordare che due libbianesi erano impiegati come guidatori del treno: erano Arturo Cerri (alcuni dei suoi nipoti sono Marcello, Luciana e Giovannella) e Egidio Fedeli (detto il Mugnaio, papà di Vasco, Furio e Fosco) mentre per un breve periodo, nella miniera ha lavorato Olimpio Bianchi, suocero di Luciana Libri.
Non è escluso che altri libbianesi abbiano lavorato nella miniera o nella costruzione o nell’esercizio della ferrovia.
L’ATTIVITA’ MINERARIA
Nonostante l’entrata in funzione della ferrovia, l’attività mineraria non decollò e la Società Carbonifera di Monterufoli giunse a rischiare il fallimento; la famiglia Maffei quindi decise di rilevare prima l’esercizio della ferrovia e poi la gestione dell’intera miniera di Monterufoli. Queste vicende alterne comportarono un’estrazione generalmente modesta, tranne che durante la Prima Guerra Mondiale e negli anni immediatamente successivi, quando la miniera conobbe una sorta di età dell’oro.
Nel frattempo, la linea ferroviaria dimostrò di non riuscire a resistere alle frequenti piene del torrente Sterza, tanto che non di rado la circolazione sulla ferrovia doveva essere interrotta in seguito a eventi di questo genere.
Il giacimento si esaurì rapidamente e la miniera fu chiusa già negli anni Venti del Novecento; stessa sorte toccò all’annessa ferrovia di Monterufoli: divenuta antieconomica e danneggiata dall’ennesima alluvione, nel 1928 fu completamente smantellata.
Durante la Seconda Guerra Mondiale furono bombardati dai tedeschi, e pressoché distrutti, i resti della ferrovia, soprattutto i ponti.
COS’E’ RIMASTO?
Il percorso della ferrovia fa oggi parte della Riserva Naturale di Monterufoli ed è ancora rintracciabile e percorribile a piedi, soprattutto nella sua parte finale vicina al torrente Ritasso. Sopravvivono tre ponti ad arco che ben rendono l’idea dello sforzo tecnico ed economico affrontato dai costruttori e dai proprietari al tempo della realizzazione della ferrovia.
E’ impressionante una parte del tracciato interamente scavata a colpi di piccone nella dura roccia. Lungo il percorso della ferrovia sono tuttora visibili alcuni manufatti come i ruderi di alcune infrastrutture e un attrezzo di ferro, probabilmente utilizzato per caricare la lignite sui vagoni del treno.
Rimangono visibili anche due case cantoniere: la prima è stata ristrutturata e convertita ad abitazione civile, mentre la seconda, nei pressi del capolinea di Monterufoli, è ridotta in rovina.
L’elegante stazione terminale di Monterufoli è stata riqualificata e adibita ad agriturismo.
Articolo scritto grazie ai ricordi e alle pazienti ricerche di Iria e Vanna Berni, Luciana Libri, Giovannella Cerri e Anna Luisa Cheli.