L’allume e i Cavalcanti

Terre da ferro e fuoco

I territori intorno a Libbiano sono di origine vulcanica (eruttiva effusiva): basta fare una passeggiata intorno casa per vedere i basalti lucidi nero-verdastri oppure dioriti e sieniti. D’altronde l’energia geotermica,  così ben sfruttata a Larderello, ne è la dimostrazione lampante.

Ma citando queste testimonianze, parliamo dei tempi correnti; e nel passato? Come ulteriore dimostrazione ci sono state le innumerevoli miniere, servite addirittura da un’apposita linea ferroviaria; e innumerevoli erano i minerali cavati nei dintorni di Libbiano: rame, opale, pirite, azzurrite crisocolla, agata cristallina (calcedoni) e, non per ultimo, l’allume! Fu proprio quest’ultimo a rendere appetibile questa zona fin dai tempi antichi.

Vediamo perché

Col termine allume s’indica un gruppo di sali che sono dotati di proprietà astringenti e antisettiche che ne spiegano l’uso nella farmacopea e di caratteristiche intrinseche che, a partire già dal Medioevo, ne sancirono l’utilizzazione nel ciclo di trasformazione della pelle in cuoio, nella preparazione della pergamena, come coloranti nell’industria della ceramica e del vetro e soprattutto come mordenti nella tintura dei tessuti.

Tra gli allumi quello che interessa maggiormente il discorso riguardante l’impiego nella tintura delle fibre tessili, è l’allume potassico derivato con una serie di processi dall’alunite, minerale di origine vulcanica che le fonti toscane indicano spesso come «pietra da allume , «terra da allume» o «allume di rocca».

L’allume potassico era davvero indispensabile per la manifattura tessile medievale?

La documentazione toscana dei secoli XIV-XV racconta una verità più articolata:

  1. con il termine allume le fonti indicavano sostanze diverse, utilizzate in rapporto ai coloranti impiegati, mentre anche le ceneri di legna fungevano da mordente ;
  2. proprio queste ceneri, sposandosi al meglio con il guado, il colorante in blu-azzurro più utilizzato dai tintori, erano la sostanza maggiormente richiesta sul mercato;
  3. almeno a Firenze l’importanza dell’allume crebbe decisamente negli ultimi decenni del Trecento e nel Quattrocento, quando la produzione di panni di lana sempre più lussuosi e lo sviluppo dell’industria della seta incrementarono l’utilizzazione della grana e del cremisi, i coloranti da cui si ottenevano le tonalità di rosso più prestigiose e che trovavano nell’allume il loro mordente più efficace.

A partire dal 1200 nel panorama della manifattura tessile europea del tardo Medioevo, la Toscana rivestiva una posizione di grande rilievo. La lana, la seta, e in misura minore il cotone, erano impiegati nella realizzazione di una vasta gamma di tessuti complessivamente di qualità media e alta, destinati innanzitutto al commercio interregionale e internazionale.

Nei secoli XIV e XV l’attività più diffusa era senza dubbio quella laniera, presente a Pisa, Prato, Pistoia, Lucca, Firenze, Volterra, Siena, Arezzo  con forti differenze di scala ma in forme organizzative simili, riconducibili alla cosiddetta «manifattura disseminata». Già all’inizio del Trecento la capitale del lanificio toscano era Firenze, divenuta anche la prima città della regione per numero di abitanti.

Il quadro cambiò nei decenni a cavallo fra Trecento e Quattrocento, perché le difficoltà di approvvigionamento della materia prima che proveniva dall’Inghilterra e la concorrenza di nuovi poli tessili in Inghilterra, Catalogna, Fiandre e Linguadoca, imposero ai lanifices fiorentini la riduzione del volume della produzione e una graduale riconversione verso la realizzazione di tessuti meno costosi con lane italiane e iberiche, i cosiddetti «panni di Garbo».

Questi problemi inasprirono anche i rapporti fra le manifatture di Firenze e quelle presenti nelle aree soggette al suo dominio che in quell’epoca erano venute a comprendere città come Prato, Arezzo, Pistoia, Pisa, Cortona.

Fuori dallo Stato fiorentino, Siena e Lucca mostrano tendenze opposte nella produzione laniera. A Siena, nonostante che il settore rivestisse un ruolo importante nella crescita economica e nel sostentamento di un elevato numero di lavoratori, nel Quattrocento l’industria laniera non sembra avere rivestito un ruolo di primo piano nell’economia cittadina.

A Lucca invece, dove si era affermata un’attività di rifinitura dei panni di lana franco-fiamminghi, la manifattura laniera, grazie anche alle agevolazioni fiscali concesse dal governo di Paolo Guinigi,  richiamò mercanti e imprenditori da tutta la Toscana e perfino da Viterbo e da Mantova.

Nel 1407 il numero delle aziende registrate, che nel 1372 era di appena 14, arrivò a 40 mantendo un settore laniero di una certa consistenza. Comunque la produzione dei panni di lana non era la principale attività manifatturiera di Lucca che aveva precocemente costruito le sue fortune imprenditoriali sulla lavorazione della seta.

Ricordiamo che in quest’epoca iniziarono i viaggi di banchieri lucchesi, senesi e fiorentini verso i Paesi europei centrali e del Nord per concedere ingenti prestiti di denaro (vedi Monte dei Paschi di Siena come pure vari Banchi di Pegno lucchesi che si trasformarono in banche come il Banco del Monte di Lucca, ndr).

Qui entrano in ballo i territori libbianesi e pomarancini

In questi luoghi, apparentemente sperduti e privi d’interesse, erano presenti importanti giacimenti di allume e la presenza di miniere già ben organizzate.

Avere il predominio su queste aree voleva dire avere un approvvigionamento diretto e relativamente vicino della materia più importante per la colorazione e la mordenzatura della produzione laniera e serica. Motivo più che valido per innescare continue guerre per la conquista di queste terre, apparentemente desolate e prive d’interesse, tanto da muovere interi eserciti. Solo che i giacimenti e l’organizzazione estrattiva non potevano accontentare le grandi richieste della produzione così che l’interesse per questa zona andò scemando. L’uso dell’allume di potassio aveva diverse alternative, poiché  l’esperienza maturata dimostrava che i migliori risultati si raggiungevano grazie a determinati abbinamenti tra fibra, materie tintorie e mordenti.

A questa storia si sovrappone il dominio della famiglia Cavalcanti a Libbiano a partire dal ‘200 fino al tardo ‘300. I Cavalcanti, di parte guelfa, (https://www.treccani.it/enciclopedia/cavalcanti/furono un’antica e importante famiglia fiorentina ma originari di Volterra. Furono signori del Castello di Libbiano in Val di Cecina, di Montecalvi in Val di Pesa, di Luco e di Ostina nella Val d’Arno superiore. A Firenze fu famiglia del primo cerchio e famiglia consolare. A ricordare la loro presenza a Libbiano ci sono ancora il Palazzo Cavalcanti e l’omonima piazza proprio nel centro del paese.

Stemma in terracotta sul palazzo dei Cavalcanti a Libbiano
Stemma in terracotta sul palazzo dei Cavalcanti a Libbiano

La via di comunicazione che collegava Pietrasanta con Follonica attraverso la città di Lucca, le Colline pisane e le Colline Metallifere (l’attuale SRT 439 Sarzanese-Val d’Era) era fondamentale nella logistica del tempo quindi  il suo controllo indispensabile. Da questo potete capire la grande importanza strategica che aveva il Castello di Libbiano.

Libbiano: forse un piccolo paese, ma con una grande storia.

 

Paolo Bartalesi

Ritratto di gruppo di sei poeti del Dolce Stil Novo: Dante, Petrarca, Boccaccio e Guido Cavalcanti, esponente artistico della famiglia.
Ritratto di gruppo di sei poeti del Dolce Stil Novo: Dante, Petrarca, Boccaccio e Guido Cavalcanti, esponente artistico della famiglia.
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