Erano solo maglie e guanti

Chi ha letto anche solo alcuni di questi blog si è reso conto di quanto le donne libbianesi abbiano dimostrato nel tempo la loro forte fibra e l’incessante volontà nel partecipare all’andamento delle loro famiglie.”Erano solo maglie e guanti” è la storia di un decennio dove le donne libbianesi sono protagoniste.

A proposito di questo, mi tornano alla memoria degli eventi legati ai primi anni della mia infanzia (fine anni ’50, primi anni ‘60). In quel periodo si sviluppò un’attività lavorativa che le donne potevano fare nelle loro abitazioni: era concesso loro in comodato d’uso un piccolo telaio tessile col quale fare pezze di maglieria utilizzate per realizzare maglie o guanti (molto richiesti in quel periodo). Era il momento in cui si affermarono le prime fibre tessili sintetiche. La loro invenzione risaliva agli anni ‘30-‘40 frutto della ricerca di alcune aziende chimiche pionieristiche nella lavorazione dei polimeri e delle resine e dei loro diversi impieghi.

Queste fibre hanno trovato largo impiego nel settore tessile grazie ad alcuni indubbi vantaggi: l’uso di materie prime a basso costo e con varianti infinite di vivace coloritura, resistenza agli agenti atmosferici, resistenza alla rottura e all’abrasione, ottima elasticità. Gli inevitabili svantaggi (fibre non biodegradabili, la loro tossicità e la possibilità di provocare allergie) erano ancora precoci per questi tempi e comunque sottaciute.

Quei telai tessili erano posti in qualche angolo libero della cucina; il carrello mobile era mosso con la forza delle braccia (solo in anni successivi furono disponibili telai mossi da motori elettrici). Le donne ricevevano periodicamente i rocchetti dei filati e restituivano gli stessi lavorati.

erano solo maglie e guanti
vecchia-macchina-da-maglieria

Anche le donne libbianesi non persero l’occasione di integrare le misere entrate familiari. Queste “macchine” e i filati venivano portati da più persone, solitamente della zona. Irma Longinotti, libbianese DOC, si era sposata una decina di anni prima e in quel momento abitava in un paesino della Lucchesia distante da Libbiano una novantina di chilometri (che per quell’epoca era una distanza impressionante). Anche Irma aveva una “macchina” in casa con la quale faceva maglie e, con la sola intenzione di aiutare le donne libbianesi, riuscì a convincere il suo datore di lavoro a portare macchine e filati a Libbiano.

I viaggi erano fatti circa ogni mese; i vetturini per lo più avevano la Fiat 500 Giardiniera che per la forma a station wagon della carrozzeria ben si prestava al trasporto della merce.

Fiat 500 Giardiniera
Fiat-500-Giardiniera

I miei ricordi si mescolano e sono legati ad alcuni di quei viaggi; avevo pochi anni quindi i ricordi sono come immagini oniriche ma molto nitide e reali.

Innanzi tutto, fare un viaggio di quel tipo era una cosa epica, vuoi per la condizione delle strade che per le vetture dell’epoca. Partivamo la mattina molto presto; il vetturino era un giovane uomo, minuto e molto vispo, di nome Angelo. C’era un punto, chiamato La Sterza (vicino a Lajatico, ndr), circa a metà strada che segnava una specie di confine: di lì in poi si entrava nella zona delle colline pisane dove le uniche costruzioni che si potevano vedere erano i pochi poderi dell’Ente Maremma. Era una parte del viaggio dal panorama meraviglioso ma dove ci si sentiva soli, abbandonati dalla civiltà; un tratto di strada da fare in un fiato, dove era impensabile fare anche una breve sosta. Dovevamo arrivare a Saline di Volterra per rivedere le prime case e ritrovare segni della “civiltà”.

Angelo era ammirato da ciò che vedeva in quel meraviglioso e spaventoso tratto della strada: colline morbide, tutte coltivate, che si incontravano in solchi arborati spesso percorsi da piccoli ruscelli. Per descrivere quel paesaggio, Angelo disse una frase che non posso dimenticare: “Il Padreterno quando ha creato questi posti, li ha chiamati sottovoce.”

In lontananza vedevamo Volterra che, come un’antica signora, era adagiata sulla lunga sommità di una lunga collina: quasi fosse una distaccata e sonnolenta spettatrice.

erano solo maglie e guanti
vista-panorama

L’arrivo a Libbiano segnava un lavoro da fare in modo svelto: scaricare le scatole coi filati e ritirare i tessuti ben compressi e legati che venivano stivati nell’ampia bauliera della “Giardiniera”. C’era immancabilmente qualche macchina che faceva le bizze e andava sistemata: Angelo, oltre che vetturino, era anche meccanico e provvedeva al buon funzionamento delle macchine. Un pranzo frugale, l’ultimo giro dalle donne per sincerarsi che tutto fosse a posto e poi di nuovo in viaggio verso la Lucchesia. La prima metà del viaggio, considerando il buio che veniva incontro, era ancora più preoccupante che all’andata.

In uno dei viaggi che ricordo, nella prima parte del ritorno trovammo un vento fortissimo; l’auto stentava a procedere e la visibilità stava peggiorando tanto che Angelo si trovò perso. Certo non si poteva fermare nel nulla! A pezzi e bocconi riuscì a tornare nella zona molto vicina a La Sterza dove c’era un distributore di benzina (esiste ancora oggi, ndr) con annesso un piccolo negozio di alimentari che serviva anche come bar per i passanti. Angelo aveva ribattezzato quel posto, luogo di sosta per fare rifornimento e sgranchire un po’ le gambe, “dalla Bionda” pensando al colore dei capelli della bella signora che gestiva quell’esercizio.

L’auto si fermò circa un chilometro prima “della Bionda” e a piedi, spazzati del vento freddo, raggiungemmo il distributore, dove aspettammo che il vento si calmasse e ci permettesse di riprendere il viaggio per il ritorno a casa.

Quello fu un periodo che durò una decina d’anni; fu chiuso dalle nuove imprese di maglieria che concentrarono e industrializzarono il lavoro nelle loro sedi. Il lavoro casalingo fu abbandonato perché costringeva a spostamenti, tempi lunghi e dilatati nella lavorazione (per la maggior parte delle donne non era un lavoro vero e proprio ma solo un riempitivo) e perché fatto da personale non specializzato.

Tutto questo non poteva andare d’accordo con la fretta che aveva l’Italia di ripartire.

 

Paolo Bartalesi

 

Leggi anche: “Ma come! Parliamo ancora di questo?” e “Le ragazze libbianesi a Livorno”

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maglificio
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