UNA LUNGA RICERCA NEGLI ARCHIVI
Nella comunità di Pomarance, Libbiano è certamente il castello più antico dopo Sillano e più suggestivo per il nome e le memorie che lo riallacciano all’epoca romana (un capitello, simile a quelli di Vallebona in Volterra, serve ancora oggi da pila dell’acqua benedetta) e anche all’epoca dei paladini di Carlo Magno o alle gesta dei Reali di Francia.
Lo storico Mario Giovannelli ai primi del 1699 così raccolse questa ultima suggestiva leggenda: “et in questo castello ritrovarsi una Rocca ov’è vulgata fama degl’habitanti che ci stesse Buovo d’Antona”.
Dagli abitanti del circondario invece era detto “Libbiano delle streghe” per certi cerchi sulfurei che somigliavano ai tracciati magici di quella tipica superstizione; così come le più imponenti manifestazioni dell’alta zona boracifera suggestionarono gli antichi quasi fosse “valle d’inferno e Arca dei diavoli”.
Le più antiche memorie scritte sono anteriori all’anno 1000. Nel settembre 994 Guido del fu Tenzo, padrone della metà del castello di Libbiano contado Volterrano, la vende per 200 soldi al genero Adelmo, sposo della figlia Rollinda insieme con la Rocca di Cori (Rocchetta di Poggibonsi), cusoria di San Gimignano e Ancoria (Serracoria di Radicondoli) con le loro case e chiese. La pergamena si trova a Siena e proviene dal famoso monastero di S. Eugenio fondato dalla contessa Ava fu Zanobi. Nell’altra metà di dominio delle case e delle chiese vi troviamo successivamente coinvolti il vescovato di Volterra e la Badia di Monteverdi marittimo. Vero è che il 22 giugno 971 il vescovo Pietro in permuta con Guinigi fu Camerino di Val d’elsa, gli aveva consegnato più massaricie del fondo Tucennano, col Monte e il Poggio chiamato Colle Delizia, rete da massari Orso e Andrea, nella giudicaria della Pieve dei S.S. Giovanni e Alessandro di Morba, contro numerosi pezzi di terra a Roncolla, Pignano, Casole e Colle Val d’Elsa.
Parte di tale fondo, detto volgarmente Tigugnano, risultava fino al 1800 tra i beni della chiesa di S. Simone e scendeva in Trossa verso le Valli dove più accanita nei secoli XV e XVI fu la ricerca di zolfo e vetriolo.
Orbene in tale atto è proprio Guido del fu Tenzo il messo diretto di parte vescovile che fece le laboriose stime. Circa il 1216 il vescovo Paganello Pannocchieschi ipotecò i beni di Libbiano a Corrado di Bonafindanza, dei Belforti, i quali poi vi rimasero arroccandosi a Monterufoli e Serrazzano e quindi vi introdussero i Cavalcanti loro consorti, che fino al 1236 risiedevano alla Rocca d Montevultraio.
Ma il vescovo vi rimase comunque padrone e riscosse sempre e da tutti il “fodero” (la tassa di famiglia di 16 denari) per tutto il secolo XIII fino al XVI nonostante che l’abate di Monteverdi avesse ceduto al Comune di Volterra tanti diritti originari quanto quelli ottenuti nel 1158 per eredità da Ansaldo fu Pelato dai visconti di Corsica e Sardegna.
Fino dal 1265 abbiamo notizia dell’importanza ecclesiastica della rettoria dei S.S. Simone e Giuda, poiché il 9 dicembre di quell’anno prete Giurisio suo titolare rappresentava tutto il piviere di Micciano alla riunione per la “Federazione del Clero” Volterrano (universitas cleri) incaricata di formare la “Libra” (o catasto) delle chiese diocesane. E tale importanza crebbe allorquando altri territori furono smembrati dal Morba a Lustignano, come la chiesa di S. Andrea a Monterufoli, di S. Ermete in Collina, e quella di Rovere Roveta.
Il vescovo vi favorì un libero Comune, nel quale non entrarono mai i Cavalcanti e che seppe opporsi anche alle invadenze pretese giurisdizionali dei vari potestà volterrani (così nel 1283 contro Rodolfino dei Conti da Catenaia), sebbene si accettasse un giurisdicente volterrano. Interessantissimi documenti ha raccolto in Notaro Giovanni di Giunta nei suoi protocolli oggi conservati alla Biblioteca Guarnacci di Volterra. Tra questi i due testamenti di Corrado del fur Rimbaldo, fiorentino naturalizzato nel borgo di Libbiano. Egli nel 1268 (il 14 Febbraio) prima di andare pellegrino a Roma lascia molti denari a frati Minori, ai Romiti, alle recluse, agli infetti e specialmente “per uno ospedale dei poveri che debba essere conservato in perpetuo dal Comune di Libbiano e dal romitorio di Larniano”. Quest’ultimo luogo è presso Montecatini Val di Cecina e da qui vennero a Volterra i frati Agostiniani. Nel 1280 egli andò Pellegrino anche a San Giacomo di Compostella, nel Portogallo, e fece ancora testamento, e sempre ritornò sano e salvo e fu per lungo tempo uomo di chiesa e consigliere di Comune.
LE DECIME
Alla chiesa i Libbianesi pagavano singolarmente le decime e le primizie e fu così che Tancredi fu Bonaccorso e sua moglie Ermellina, per evitare dimenticanze, cedettero al prete Arrigo una proda di terra contenente anche un olivo lazzero, nel piano Libbianello alla Petraia. Contestualmente poi provvedevano all’opera, cioè all’edificio della chiesa medesima.
L’antica chiesa “…posta dentro il recinto del castello, il luogo detto “Alla Torre” fu cominciata a costruire nel secolo XII, come da questa epigrafe ancora oggi esistente che si traduce: “Maestro Libertino da Como mi fece; Cello di Jacopo, Chele di Riccomano, Manuello, Tancredi e Martino operai di questa chiesa 13 dicembre 1285”.
Trent’anni dopo non era ancora perfetto, infatti il 2 dicembre 1325 il vescovo Ranuccio Allegretti, davanti al rettore Sarcenni fece precetto al vicario e consiglieri di Comune, che prima di Quaresima (“hinc ad festum carnis privii”) dovevano aver compiuto l’immattonata; e prima di tutti i Santi avere fatto l’ala della crociera simile a quella verso la Rocca; e spostato di tre braccia l’altare verso la muraglia del coro.
Il Comune dovette darsi da fare e nel 1330, se non aveva eretto ancora il campanile (che poi risulterà sorgere in facciata, presso l’ingresso principale) possedeva almeno due campane: una del Salvatore e una della Madonna, fuse da maestro Airoldo. Numerose notizie di Libbiano si riscontrano anche nella Curia vescovile tra i protocolli di Placido Bonaccorsi da Pomarance e nelle pergamene del Vescovato. Così nel 1311 troviamo spedalinghi Michele Datini e sua moglie Benincasa, figlia di Ugolino Lombardo di Caselle (castello da vent’anni saccheggiato e incendiato dai Pisani e di cui essi vendono la nuda giurisdizione a Bonafidanza Belforti per 125 lire pisane).
Ancora: nel 1336 il vescovo Allegretti “volendo remunerare suo padre (il Cavaliere Barone fu Nuccio) dei pesi e danni da lui sostenuti (proprio dai Belforti) e degli aiuti presenti e futuri da prestare al vescovato” gli affitta per 29 anni tutti i beni di Libbiano, dalla Rocca alla Valle, compresa la Torre con due case, un orto e un Casalino nel castello. Tale affitto fu rinnovato nel 1367 al figlio Donato sempre per 29 anni, e per la prestazione simbolica di una libbra di pepe, sodo e rigido, da pagare nella festa di San Girolamo il 30 settembre.
Come e quando i Cavalcanti, creati cavalieri dal tiranno Bocchino Belforti, si intrufolano dappertutto e la fecero da padroni, non si sa chiaramente. Nella visita pastorale del 1413, il parroco, l’Agostiniano Fra Bartolomeo da Volterra, si lamenta perché Cavalcante ha usurpato i beni della chiesa da cui pretende oltre 100 fiorini. Ciò può far pensare anche all’usura che fino al 1280 era esercitata in tutte le forme del suo antenato Marcovaldo.
Nel 1421 il prete Marino afferma che il popolo “insieme coi nobili” (Cavalcanti) sceglie rettore mentre il vescovo lo conferma. Nel 1463 viene segnalata in chiesa “la pila per il battesimo” e nel 1477 il parroco Fra’ Paolo agostiniano spiega al vescovo che “per consuetudine e per indulto” si battezza anche al Libbiano, da quando per le guerre fu “distrutta, diruta, desolata” la Pieve di Micciano. Si scusa inoltre perché il campanile non è ancora fatto e riattato: gli uomini della campagna l’hanno da tempo commissionato a maestri e manovali, ma questi perdono tempo. Tale campagna, molto antica, risulta dedicata alla Vergine e costruita contigua alla parrocchiale. E’ detta della Concezione ed è obbligata ogni anno a solennizzare la festa. Non si dice la data, ma è probabile che si venerasse il 25 Marzo il mistero della Concezione Verginale, e non l’8 dicembre quello dell’Immacolata. Si sa, da inventario allegato, che fino dalla guerra del 1428 fu completamente distrutto l’ospedale non ne rimangono che i beni di terra sodi e silvestri.
Per tutto il 1400 ci fu la corsa all’allume, allo zolfo e al vetriolo che mise sottosopra la Val di Cecina; e se fece la fortuna dei Guidi, Peruzzi, Marchi e Broccardi, fu anche il tracollo della città di Volterra. A questa folla di interessi partecipò anche la chiesa di Libbiano, dove nel 1460 all’agostiniano Fra’ Zanobi Salimbeni successe l’arciprete del Duomo Gherardo Guidi che molto favorì la sua famiglia. A lui succedette il proposto Antonio Zeno fiduciario del cardinale Soderini. In quell’epoca girava a Libbiano anche lo scultore Zaccaria Zacchi, come camarlingo della fraternità del Duomo.
Così si sa che nella vecchia e piccola chiesa (lunga braccia 40, larga 8, alta 10) esistette “un pulpito di pietra di ragionevole struttura (di forma prismatica, sostenuta da una piramide internata nei muri nello spigolo destro della crociera) nella quale si vede un arme con tre armature di cervio e corri cappello prelatizio” (Soderini) e due grandi statue di coccio, l’Annunziata e l’Angelo, che ancora oggi, benché malandate, mostrano la ben nota tecnica dello Zacchi.
E I CAVALCANTI?
Pure i Cavalcanti vi costruirono un altare, detto di Santa Barbara: la tela “di ragionevole pennello” esiste ancora. A essi (e precisamente a Galgano D’Ottaviano) il 22 settembre del 1482 il vescovo Soderini affittò tutte le terre vescovili al Lago. I costumi parrocchiali rimasero per lungo tempo patriarcali, e ancora nel 1594 a testimonianza del pievano Ottaviano Spenditori si annotano le feste e gli usi tradizionali: Festa di tutti i Santi “nella quale si fa un convito a un huomo per casa a tutto il popolo secondo l’antica usanza del luogo”. E se lo potevano permettere, pagavano infatti “di decima grano quarti tre e vino boccali 8 per ciascuna famiglia.”
Della cappella della Concezione (del valore di circa 200 scudi) nell’anno 1517 Madonna Alfonsina Orsini, moglie di Piero de’ Medici, pretese investire il suo segretario e canonico, lo storico Pier Francesco Giambullari, ma l’intrusione non fu né pacifica né duratura. Se ne rammaricarono anche i popolari, perché quei denari servivano al restauro della chiesa.
Ma anche soprabbondavano, perché nessuna chiesa era fornita di arredi come quella, e perfino di un organo, di quadri e reliquie, libri di canto, angeli ciriferi in legno e Battistero di marmo “d’antichissima costruzione di forma etrusca, forse romanico-toscano”. Solo che la chiesa era troppo piccola e in luogo disagiato, battuto da forti venti. “Il parroco Gabriello Sarperi, volendo costruire in luogo più conveniente e più basso la nuova chiesa, né avendo potuto ottenere dal governo e dal popolo (al comunello autonomo si era intruso quello di Pomarance) sussidio, vincendo tutte le contrarietà e gli ostacoli, e animato da buon calore e da vero zelo, gettò nel 1848 la prima pietra fondamentale della nuova parrocchia, che costruì a tutte sue spese su disegno dell’Architetto Ricci, con la cospicua somma di scudi toscani 1100, facendo contemporaneamente erigere il campanile attiguo e la sacrestia. Detta chiesa è lunga braccia 26, larga 14 (non compreso il coro lungo braccia 6) alta 16.”
Il proposto di Pomarance la benedisse nel 1849. Gran brav’uomo il pievano Sarperi. Nel 1842 aveva restaurato poco fuori del paese un oratorio, o una antica edicola riducendola a chiesa con un quadretto della Madonna delle Grazie, o Vergine del Buonconsiglio già venerato in chiesa vecchia, e vi si cominciò la festa nel 5 di agosto, Madonna della Neve.
Nel 1859 di questo edificio venne curato un terzo ingrandimento, riducendo a chiesa anche il loggiato “avendo per tale lavoro concorso nella spesa il signor Miller scozzese (protestante) offrendo la somma di lire di lire 280”.
Nel paese esistono tuttora le due chiese restaurate e ben tenute vi concorre il popolo e vi si fanno le feste tradizionali. Soltanto il campanile è pericolante, lesionato dall’ultimo terremoto, attende ancora l’intervento del Genio Civile dello Stato, ma forse basterebbe un mecenate, magari protestante come il signor Miller.
scritta da monsignor Mario Bocci, a cura di Veronica Poli
CHI ERA DON MARIO BOCCI
Originario di Pomarance, dove era nato il 19 dicembre 1924, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Antonio Bagnoli il 22 giugno 1947. Cappellano prima delle Parrocchia di Sant’Agostino in Volterra e poi di quella di Santa Maria della Marca a Castelfiorentino, nel 1955 viene nominato cappellano dell’ospedale di Volterra. Nel 1964 è canonico della basilica cattedrale. Nel 1983 riceve l’onorificenza pontificia di cappellano di Sua Santità e nel 2006 quella di Prelato d’Onore.
Ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca archivistica e allo studio della storia della città e della Diocesi di Volterra, portando un contributo determinante alla storiografia locale del Novecento e mettendo sempre a disposizione con grande capacità critica il proprio sapere e le proprie intuizioni. Persona schiva dagli onori e dai riconoscimenti è stato Governatore dell’Arciconfraternita di Misericordia e Consolo della prestigiosa Accademia dei Sepolti, nutrendo sempre un legame di particolare affetto ed attaccamento verso Volterra ed il suo straordinario patrimonio umano e culturale.
Monsignor Bocci è venuto a mancare a causa di una lunga malattia nel giorno del suo 85º compleanno: il 19 dicembre 2009.