Il Sessantotto e Libbiano
Lo spunto di quest’articolo è venuto dalla pubblicazione della filastrocca “Marcondirondirondello”, molto diffusa in tutta Italia, non solo a Libbiano. Nel 1968 Fabrizio De Andrè riprese la forma di questa filastrocca per comporre la canzone “Girotondo”, su musiche di Gian Piero Reverberi, che fu inserita nell’album “Tutti morimmo a stento”.
Una coincidenza occasionale? Un plagio?
Niente di tutto questo: solo una forma nella quale De Andrè inserì i suoi versi che avevano un significato molto differente da quelli della filastrocca tradizionale.
Ecco allora il motivo di parlare del Sessantotto e di come Libbiano ha vissuto quegli anni.
IL SESSANTOTTO NEL MONDO
Per chi l’ha conosciuto poco, è conveniente descriverlo (spero di farlo con la massima obiettività) e contestualizzarlo.
Il Sessantotto è stato un movimento rivoluzionario socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968 (da cui ha preso il nome) nei quali lavoratori, studenti, intellettuali e gruppi etnici minoritari, constatarono la corrispondenza delle proprie rivendicazioni che li unì nella forte carica di contestazione; questo movimento attraversò quasi tutti i Paesi del mondo occidentale.
Brevemente voglio ricordare il panorama politico di quegli anni.
Gli Stati Uniti d’America stavano ancora affrontando le conseguenze della Guerra in Corea (1950-1953) quando intrapresero una nuova azione armata in Vietnam che ebbe inizio nel 1955 ma che vide una forte escalation negli anni dal 1965 al 1972.
Malcom X fu assassinato nel 1965; nello stesso anno fu fondato il movimento delle Pantere Nere (Black Power) che rivendicava la parità dei diritti per gli afro-americani. Martin Luther King Jr. e Robert F. Kennedy furono uccisi nel 1968. Una pentola a pressione pronta a esplodere.
Questi fatti e la forte tensione sociale sfociarono, dal 1960 fino al 1980 circa, nella formazione giovanile degli Hippy, conosciuti anche come Figli dei Fiori, che proclamando il loro slogan “Make Love, Not War” (fai l’Amore, non la Guerra) portarono avanti la loro contestazione sociale creando una controcultura con proprie comunità che ascoltavano rock psichedelico, abbracciavano la rivoluzione sessuale e l’uso di stupefacenti, al fine di esplorare e allargare lo stato di coscienza.
Questi movimenti di contestazione si diffusero, con rivendicazioni simili e appropriate, in tutto il mondo Occidentale. La Francia, da sempre molto attenta ai temi legati alla convivenza sociale(*), nello stesso anno dette vita a un movimento rivoluzionario chiamato Maggio francese o Maggio ’68 : si trattò di una vasta rivolta spontanea, di natura sociale, politica, culturale e anche filosofica, indirizzata contro la società tradizionale e, in particolare, contro il potere gollista allora dominante. Il moto di ribellione della gioventù studentesca di Parigi si estese al mondo operaio e in pratica a tutte le categorie della popolazione sull’intero territorio nazionale, restando il più importante movimento sociale della storia di Francia del XX secolo.
(*) Non dimentichiamo il motto che accompagnò l’ultima Rivoluzione francese che portò all’instaurazione della Repubblica: “Liberté, Égalité, Fraternité”.
Ugualmente le stesse tensioni sociali si manifestarono anche in Italia e si arricchirono dei temi legati all’emancipazione femminile che aveva subito una forte battuta d’arresto nel Ventennio mussoliniano; i movimenti legati al femminismo in Italia ripresero forza dal 1970 in poi.
Volutamente lascio a ciascuno la propria opinione se i cambiamenti provocati da questo movimento rivoluzionario siano stati benefici o negativi; non m’interessa sposatare le vostre convinzioni ma piuttosto capire quanto più è possibile questa voluta coincidenza fra una canzone e una filastrocca.
PERCHÉ QUESTA CANZONE ASSUME LA FORMA DI UNA FILASTROCCA?
In questo clima incandescente, poteva un artista come Fabrizio De Andrè rimanere indifferente? Proprio lui che da sempre ha predicato il pacifismo con le sue canzoni? Proprio lui che, finché ha avuto vita, ha messo a nudo le contraddizioni sociali? Ecco dunque che nel 1968 De Andrè, prendendo lo spunto dalla filastrocca Marcondirondello, compone un brano che intitola “Girotondo” su musiche di Gian Piero Reverberi e che inserisce nell’album “Tutti morimmo a stento” pubblicato nel novembre dello stesso anno.
Il girotondo è il gioco per eccellenza dell’infanzia. Dell’infanzia povera e semplice che non ha bisogno di giocattoli, libri o altro per distrarsi, ma che basta per certi versi a se stessa. Come commentare il trittico guerra / gioco / infanzia? Con ogni evidenza qui il cantautore cerca di farci riflettere su come la guerra non sia altro che un gioco adulto.
Sulle note di copertina dell’album è riportata questa frase: «Una delle pagine più intense e drammatiche dell’intera cantata. Vi si narra come la spietata follia dell’uomo abbia scatenato la guerra atomica, e di come la terra ne si andata distrutta. Solo i bimbi sono rimasti vivi, a continuare un assurdo girotondo che li trascina, gradualmente, alla pazzia. E su tutto aleggia un terribile monito: “chi ci salverà?”»
GIROTONDO
(Fabrizio De Andrè / Gian Piero Reverberi)
Se verrà la guerra, Marcondiro’ndero
se verrà la guerra, Marcondiro’ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro’ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.
La guerra è già scoppiata, Marcondiro’ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.
Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro’ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.
Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà.
L’aeroplano vola, Marcondiro’ndera
l’aeroplano vola, Marcondiro’ndà.
Se getterà la bomba, Marcondiro’ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?
Ci salva l’aviatore che non lo farà
ci salva l’aviatore che la bomba non getterà.
La bomba è già caduta, Marcondiro’ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro’ndera
sian belli o siano brutti, Marcondiro’ndà
Sian grandi o sian piccini li distruggerà
sian furbi o siano cretini li fulminerà.
Ci sono troppe buche, Marcondiro’ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
Non potremo più giocare al Marcondiro’ndera
non potremo più giocare al Marcondiro’ndà.
E voi a divertirvi andate un po’ più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.
La guerra è dappertutto, Marcondiro’ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.
Di gente, bestie e fiori no, non ce n’è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.
La terra è tutta nostra, Marcondiro’ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro’ndà.
Abbiam tutta la terra Marcondiro’ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro’ndà…”
Una particolarità: il coro dei bambini che nella canzone risponde al cantautore, fu registrato nella Scuola Elementare di Valpromaro (Lucca).
LIBBIANO COME HA PASSATO IL SESSANTOTTO?
Mi fa piacere parlare di questo perché darà altri elementi di riflessione a chi non conosce ancora a fondo i libbianesi.
Libbiano, immerso nella sua storia millenaria, non ha subito scossoni da questi e altri eventi che hanno invece infuocato, almeno per un lungo periodo, la vita sociale del mondo occidentale.
Supponenza? Superficialità? Disinteresse?
NO, niente di tutto questo. Riferendomi ai temi del Sessantotto, la comunità libbianese aveva da tempo immemore dentro di sé tutte quelle crescite sociali che altrove erano imposte o sollecitate con movimenti di massa. Come si può facilmente intuire dagli altri blog di questo sito, le figure femminili libbianesi erano e restano di grande rilievo (v. La balia, L’infermiera e…, La Maestra Margherita e Gino).
A Libbiano c’è sempre stata una naturale forma reciproca di rispetto, la pudicizia nel rispettare i fatti altrui, la solidarietà nell’aiutare coloro che sono in difficoltà…
Tutto quello che il Sessantotto ha portato all’attenzione, a Libbiano c’era già da tempo: con la semplicità di chi è abituato nella povertà e nelle fatiche dei lavori più pesanti a pensare al domani come a un giorno migliore, il pacato ottimismo di coloro che amano la vita per quello che rappresenta: un giorno dopo l’altro, vissuti senza affanno.
Da questo punto di vista, Libbiano è un’isola felice dove non tira mai il “vento” forte; dove tutto si fa al meglio perché così deve essere fatto. Con pacatezza.
di Paolo Bartalesi