Boris Ryzhy (Chelyabynsk 1974 – Ekaterinburg 2001)
Il miglior poeta russo della sua generazione sceglie di andarsene, come tributo alla vita.
Boris cresce in una piccola città industriale degli Urali, in mezzo a ex detenuti, risse e bagordi. Pugile, laureato in geofisica, inizia ad avere i primi riconoscimenti poetici negli anni ’90, dopo la pubblicazione della sua prima raccolta di versi, uscita su Rossiyskaya Gazeta nel 1992. Ha ricevuto l’Anti-Booker Prize, dopo aver accettato di partecipare al Festival di Poesia di Rotterdam. Ma come tutti i poeti, indossa una maschera.
Jacques Chessex nel romanzo Il primo odore, (Gaffi, 2005, pag. 82) scriveva: Di tutti i suicidi possibili l’impiccagione è il più triste perché rivela un disprezzo di sé peggiore di qualsiasi altra morte. La pallottola nella tempia uccide un infrequentabile avversario. Ripara un torto. Nobilita il morto. Il fuoco lo santifica. L’acqua gli dà un nuovo battesimo. Ma ci si impicca perché ci si disprezza, vecchio straccio, oggetto di rifiuto.
Il cadavere di Boris viene rinvenuto il 7 maggio 2001. Si è impiccato alla maniglia di una porta, sul balcone di casa, a 27 anni.
Rimangono i suoi versi autentici, dolorosi, visionari, che rappresentano la bellezza superiore del Poeta, vulnerabile solo qui, sulla terra.
I.
Meglio prendere il tram, se si sta andando indietro nel tempo
con il suo campanile, accanto a te un tizio ubriaco,
il ragazzo in una scuola sporca, la vecchia pazza ragazza
e, naturalmente, le foglie dei poppi che disegnano la sua scia
cinque o sei fermate di tram poi
si ride degli anni ottanta
fabbriche a sinistra, lavoro a destra
non importa a nessuno di ottenere le vostre sigarette
cosa c’è di sbagliato con te?
Di cosa si borbotta con scetticismo
e tutta questa polvere sollevata da Nabokov
era il figlio del Barin, voi e io siamo gli avanzi
vieni sorriso, ci sono lacrime sul tuo viso
questa è la nostra fermata
cartelloni pubblicitari, bandiere qua e la,
cielo blu, cravatte rosse,
i funerali di qualcuno, musicisti che suonano
accompagna la loro musica il tuo fischiettare
e quel bel suono ti fa galleggiare nell’aria.
Giacca di pelle, mani in tasca
lungo quel percorso di interminabili separazioni
lungo quella strada di tristezza infinita
verso la casa dove sei nato
dove il tramonto si scioglie nella solitudine
sonno, la muta delle foglie cadute
per tornare come un soldato morto.
II.
Come una farfalla nera – il cappio al collo.
Abbandona lo spirito un inutile corpo:
Allo spirito – l’eterno, e al corpo – la terra.
Il tempo si è spezzato. La vita è volata via.
Pioggia sulla grondaia – temporale di maggio
Porta via le concrezioni dai fumosi Urali.
Nella finestra le betulle spalancano gli occhi,
E le foglie delle labbra sussurrano: “È poco, poco…”
Come una farfalla bianca si libra l’anima
Sopra il verso, interrotto dall’incrinatura,
Sembra smuovere nuvole di parole…
Perché il verso si concluda con un punto.
Dei libri postumi vive le voci.
Fece tutto quello che gli disse la vita.
L’anima se n’è andata nei celesti boschi
Eppure, com’è poco… poco… poco…
Per la vita e oltre appartenne all’antica stirpe dei Poeti. Bellissimo e giovane in Eterno.”
Nell’inverno del 2013, a Mosca, escono tremila copie di una sua raccolta postuma, esaurite in pochi giorni. Dopo la sua morte inizia ad essere conosciuto anche fuori dalla Russia e alcuni suoi testi sono tradotti in inglese, italiano, tedesco e olandese.
III.
Non ho camminato nei tuoi sogni,
né mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva, o meglio cominciava a piovere
(questo verso lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere,
come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell’autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene.
(Però mancava sempre un verso
o una rima per essere felice).
Simona Cerri Spinelli